qui, una volta, era tutta campagna

Per lo sperso viandante che si trovasse a passare di qui, poche note.

Questo è stato il primo blog di Nicola Pittavino, a.k.a. nikink, che al momento alligna in rete come finto pigro, quiesciente tumblero, picio fondatore di surripedia e surripendance nonché sparuto cinguettante.

Lana caprina, dopo una fervida attività nel biennio 2005-2006 e radi appunti nei due anni seguenti, marciva sereno su Splinder, tra il proliferare di commenti spam e il lento sostituirsi di immagini a decine con questa:

(il che ha richiesto diverse ore di pulizia ed è la ragione di quegli avvisi [immagine hackerata, quindi cancellata] che trovate in giro, quando il senso del post era legato alla foto dispersa).

Insomma stava lì, come un vecchio rustico a riempirsi di rampicanti, quando è arrivato lo sfratto – chiusura di Splinder a gennaio 2012 – e ho dovuto chiedere ospitalità ai ragazzi di Altervista per conservare memoria di questi primi passi blogici.

Oggi ho finalmente trovato la giornata da perdere per cancellare i post quadruplicati in importazione, i vecchi e nuovi commenti di spam, le formattazioni allegre, i riscorrimenti su immagini superstiti o mancanti: un atto d’amore per il cadavere, ben ricomposto.

Qui non si troverà mai nulla di nuovo, dunque, e questa è anche la ragione della grafica dimessa e della scarna colonna dei widget: del paratesto che fu, colmo di facezie e link a blog morti, non v’è più traccia… sic transit gloria gaynor ,-D

c’è un antropologo culturale in sala?

Un po’ per l’attrattiva del rilassante lusso che promette, un po’ come esperimento sociologico, mi piacerebbe – avendo molti soldi – trascorrere una settimana in questo vero-finto-vero villaggio carinziano, perché vorrei toccare con mano quello che pare essere una nuova forma di turismo e, insieme, autosuggestione delle frange sensibili della classe altoborghese.

Fatevi un giro nei meandri del sito e vedrete come nulla sia lasciato al caso: il villaggio è completamente “autentico” per tecniche e materiali (ha vinto un frego di premi per il “recupero dell’eredità culturale” ed altre simili fregnacce) almeno quanto il suo scopo è completamente farlocco. Una finzione verniciata d’autenticità mediante il recupero di prassi e logiche d’altri tempi cui s’abbinano – come si dice – tutti i moderni comfort.

Sono affascinato da queste operazioni almeno da quando, pedalando la scorsa estate nell’entroterra d’Albenga, non incocciai nell’omologo marittimo del villaggio austriaco, ovvero il borgo medievale telematico “Colletta”: un gioiello di recupero urbanistico, al servizio del recupero umanistico di possessori di berline tedesche (abilmente celate in uno scasso della montagna) in prevalenza nordeuropei.

Il fascino che subisco, ammirando queste cattedrali del benessere edonistico ammantato di consapevolezza sociale, nasce dalle evidenti contraddizioni risolte in un acuto business plan di cui potrei sentirmi target. Questi luoghi della rinascita spirituale si rivolgono infatti a persone che dovrebbero avere: molto buon gusto; molta sensibilità ai temi ambientali; molto danaro (quest’ultimo è il mio vero grado di separazione: donde il tormento intellettuale figlio dell’invidia).

Credo però difficile che si possa autenticamente far convivere questa triade, perché una vera sensibilità ai temi dell’ambiente e del recupero difficilmente si concilia alla ricchezza, se questa non sia ereditata (a meno, forse, di lavorare nell’ecologia. O nell’ecomafia). Immagino più plausibile una mera funzione di balsamo edonistico per le contraddizioni di chi – buone letture, animo nobile, talento autoassolutorio – ricaverà valore aggiunto dalla coniugazione del proprio benessere con un’apparenza di sostenibilità sociale.

Non la tirerò per le lunghe, per quanto vorrei avvitarmi ancora in questa formidabile contraddizione, e vengo al punto: come si possono chiamare questi luoghI? Sono artefatti come i non-luoghi, ma esclusivi e non popolari, ovvero standardizzati sì, ma su aspettative alte; sono autentici in senso filologico, ma non più dedicati allo scopo originario cui erano destinati pietre, legni, coibentazioni in lana, tetti in scandole di pino e via strologando.

Insomma sono luoghi veri ma finti, finti ma veri e, sinceramente, essendo escluso dal balletto, non so se mi facciano più simpatia gli aristocratici che raggiungono la baita con l’ecologica Toyota Prius od i veri truzzi che, non usi all’ipocrisia, si dirigono al Billionaire in inquinantissimo suv. Ad ogni buon conto, serve un nome: qualcuno telefoni a Marc Augé.

sarà per il freddo?

C’è ancora molto da imparare dalle nordiche lande della socialdemocrazia: come rendere più responsabili i cittadini eminenti, come coniugare giustizia e pedagogia sociale con il tornaconto per le casse pubbliche.

Bravi, continuate a dare l’esempio, magari senza però ridurvi a passare il tempo libero così (dalla stessa pagina :-))) ed io che pensavo che i finlandesi fossero strani per la corsa con la moglie ed il campionato di lancio del cellulare).

il blog è morto, viva il blogger

Pare che in rete non si muoia mai, perlomeno non mancano mai le sorprese. Da settimane non approdavo sulla tolda di questo natante; oggi l’ho fatto in previsione di questo post, che vuole dar conto delle mie molte attività in rete – altrove – a chi passasse ancora di qui, a chi avesse i feed attivi. Dopo aver cancellato una quantità di commenti spam in arabo (?) mi sono fermato ad assaporare due sorprese: una dolcissima – il commento dell’amica Deb (ripeto che aver conquistato alcune autentiche amicizie è la cosa più bella che la rete mi abbia regalato) – e l’altra sconcertante.

In un empito d’ego surfing, poco fa ho cliccato sul mio rendiconto link di Technorati. Ho così scoperto che il 12 marzo, giorno in cui hanno inaugurato per poi sparire (sei visite inclusa la mia!), questi quattro astrusi personaggi hanno inspiegabilmente linkato – con tanto di scicchissima anteprima snap – questo blog ormai in camera iperbarica, insieme ad uno stranoto social network – digg – ed a un blog inesistente – finanza e difesa. Una curiosa congerie, probabile frutto del caso, ma perché proprio io? Non mi capacito.

Non mi capacito, intanto, del perché si debba lanciare un prodotto così laccato e finito per poi soprassedere dallo spammare in ogni dove (magari però sto facendo uno scoop, li ho beccati mentre brainstormano un gran lancio ed in breve questi bei tomi finiranno nella sezione pornoweird di Repubblica) né, appunto, dell’eterogenea compagnia in cui mi trovo nel loro striminzito blogroll. Mi viene il dubbio atroce che qualcuno di costoro mi conosca personalmente. Il che è ancora più inquietante, perché si tratterebbe di gente viva e non di un ballon d’essai lanciato da alieni.

Vabbé, torniamo alla mia vita in rete. Per seguire quasi quotidianamente il costante deperirsi delle mie sinapsi, continuate a frequentare Surripedia, cui noi entusiasti surripedali™ (sodali in surripedia) abbiamo appena regalato un dominio proprio (surripedia.org) dove ci trasferiremo tra un bel po’, finite le grandi manovre sull’organizzazione del layout e dei contenuti che ci stanno impegnando assai. La cosa, insomma, è seria e mi ci trovo come un pesce nel formaggio od un topo nell’acqua: adoro fare sul serissimo le cose più cialtrone.

A proposito di cose cialtrone, nel post qui sotto celebravo improvvidamente il pronto varo d’una nuova rubrica sul pesce enigmistico. Ho già pronti i testi, la presentazione, il “cappello” ricorrente. Sul sito, l’amico Fricat ha già inserito il mio nome tra i partecipanti e la rubrica categorizzata (“menace from outer spam”). Per ragioni, come si suol dire, “indipendenti dalla mia volontà” a tutt’oggi non s’è ancora battuto chiodo. Le mie gonadi stridono nel vedere quegli zeri abbinati al mio nome, io che vado fiero della mia affidabilità e produttività. Sto pensando ad un’azione dimostrativa in loco ma, un po’ per evitarmi la fatica d’un assurdo post in cui spiego perché non scrivo dei post, un po’ per salvare le chiappe ad un amico, lancio questo preavvertimento qui: Fricat, datti una mossa o ti sputtano a casa tua!

In ultimo, sono contento d’annunciare che m’è tornata la voglia di scrivere roba articolata e ponderata. Ho pubblicato poco fa un pezzo su Ita®iani (ecco il link diretto) e progetto di scriverne presto altri. Credo molto alla partecipazione in rete e considero lana caprina un esperimento concluso. Come avevo già scritto, qui torno solo per dare indicazioni della mia navigazione collettiva altrove, ecco perché i contenuti nuovi non vengono postati qui e poi ripubblicati su Ita®iani: voglio dare fiducia ad un gruppo cui Giordano e Massimo continuano a fornire un contributo sempre valido e profondo.

sto facendo altro

Niente scherzetto (ricordate la mia avversione per il tunnel delle feste che inizia oggi?). Non sono qui per fare degli auguri, né lo sarò ai prossimi giri di boa. Poiché non c’è un modo bello per dirlo, veniamo subito al sodo: lana caprina chiude. Chiuso, closed, fermé, cerrado, fechado.

mi comporterò da farabutto e sarà bello

Avevo pensato di fuggire all’inglese, come fece mastro Brenz a suo tempo, sparendo nel nulla senza neppure rispondere ai commenti. Ma non è il mio stile, poi non intendo abbandonare il web (e neppure questo blog, di cui – ammesso e non concesso che non riapra un dì – continuerò ad avvalermi per la memoria storica, i link che contiene, ed il tagroll che continuerà a crescere). Infine, mi pareva sgarbato non dare neppure uno straccio di spiegazione.

solo chiacchiere e distintivo

Il lungo post precedente mi è costato diverse ore sottratte al sonno ed alla famiglia, vittime predestinate. Però, nonostante la captatio benevolentiæ, fatta di ammicchi che chiedevano un coinvolgimento al lettore, non ha tirato su nemmeno un commento. Non ne faccio una colpa a nessuno, beninteso. Sono conscio d’avere un blog di nicchia dentro la nicchia che è già la blogosfera italiana. Gli è che metà dei miei – diciamo quindici – lettori è già d’accordo a prescindere (la predica ai convertiti) e l’altra metà è composta da lurker benevoli quanto tetragoni (la predica ai sordi). Così non mi pare costruttivo andare avanti, volendo fare di tanto in tanto del civico giornalismo, oltre a farcire i tempi morti di bagatelle. Ci pensavo da un po’: la palese recente discrasia tra sforzo di produzione e risultati di condivisione ha solo fatto da catalizzatore.

siamo in tre: io, Smith & Wesson

Questo vecchio natante – dopo 21 mesi, 518 post ed all’incirca altrettanti commenti – rientra dunque in rada a tempo indefinito. Ma è inutile che nasconda la nostalgia preventiva dietro la finzione marittima. Parliamo di ciò che c’è qui ed ora: il nostromo resta in circolazione. Punto primo: vado a vivere nei commenti, come auspico da tempo. Quelli qui sotto, per chi volesse ulteriori spiegazioni; i vostri, siccome avrò più libertà per girare in rete. Inoltre, quando avrò qualcosa di serio da dire, lo farò su Ita®iani mentre, quando il giullare prende libera uscita, c’è sempre l’Università di Chaltroonia – a.k.a. Froottle – che può darmi ospitalità.

abbiamo bisogno di una barca più grande

Per concludere, non appena ho pensato di liberarmi della zavorra, subito la mia testolina ha cominciato ad elaborare idee su un nuovo progetto web. Non ho molto da dire, per ora, anche perché sono tutt’altro che certo di cavarne qualcosa il cui impegno sia compatibile con la mia vita. Semmai, sarà questione di coinvolgere altri. Ho in mente qualche spunto: priorità ai temi e non ai contenuti (i primi li devo ancora individuare, saranno premessa ideale e linea guida; dei secondi la rete strabocca: bando alla produzione originale e via col saccheggio); alternanza di lettere, suoni, immagini (sia fisse che mobili) e pubblico internazionale, quindi prevalenza alla lingua inglese. Vediamo se si riesce a combinare qualcosa; se no, saremo stati comunque vivi.