si stava meglio quando si stava in carta?

image hosted by ImageVenue.com

Dieci caselle di posta, dicevamo.

Così, ogni tanto, devi fare un salto su Libero a svuotare le caselle che ormai non usi più e scopri, ad esempio, che il tuo diligente lavoro di anni per listare in posta indesiderata tutti quelli che continuano a inviare comunicati stampa – pertinenti o meno, certo imperterriti – ad un giornale morto (coi dovuti necrologi) da quattro anni ti ha già fatto superare il numero di 100 (cento!) account bannati. Non a caso è quello l’account più intasato, ché gli altri o li uso meno, o sono ben protetti. Però lì, su quell’account che non ti serve più, millemila imbecilli in buona fede che mai aggiornano la rubrica continuano a scrivere, magari a mittenti spalmati in A:, quasi di certo con un bel trojan che gli asciuga la rubrica a favore degli onesti spammer.

E così, aggirandoti tra vitelli al colesterolo che aprono gallerie d’arte per proporre “paesaggio interattivo per incontri ed eventi, con l´intento di aprire nuovi link e dialoghi, tra i mondi dell’arte e delle espressività culturali, alla ricerca di un reciproco arricchimento e scambio” grazie agli “artisti che circuiteranno nella programmazione” , trovi anche i mentecatti di Latte Versato che promette di “centrifugarci” la coscienza semplicemente depositando “la vostra malefatta e di lasciare che la rete la fluidifichi, la decomponga, la lasci scivolare lontano dalla vostra anima” od ancora la ridicola velleità di Linkinface che – per la duemilalire – ti permette nientemeno che di “farti conoscere (…) trovare persone che la pensano come te (…) esserci”.

Tra tutta questa immondizia devi farti largo per poter apprezzare come merita uno spoofing finto-Carige molto ben scritto o la raffinatezza di tal Silvano che m’incalza: “Adesso puoi vederlo che non parlo a vanvera, che ne pensi di questo video di Venitia che si riveste dopo che l’ho scopata sul divano dei miei? Goditelo… ma CANCELLALO dopo che l’hai visto ok? Non rischiamo problemi (…)” per poi salutarmi con un vernacolare splendido “se vedemo”. Sì, purtroppo ci rivedremo, ma non prenderla sul personale, caro il mio spammer evoluto nel lessico ed immaginifico nell’onomastica (Venitia???): tu sei il problema minore.

sarà per il freddo?

C’è ancora molto da imparare dalle nordiche lande della socialdemocrazia: come rendere più responsabili i cittadini eminenti, come coniugare giustizia e pedagogia sociale con il tornaconto per le casse pubbliche.

Bravi, continuate a dare l’esempio, magari senza però ridurvi a passare il tempo libero così (dalla stessa pagina :-))) ed io che pensavo che i finlandesi fossero strani per la corsa con la moglie ed il campionato di lancio del cellulare).

viva la vida, muera la muerte

Da giornalista ho scritto un solo necrologio, per la morte di Gianni Agnelli. E meno male, ché non sono tagliato per il sussiego a comando. Se oggi sono qui a stendere un elogio funebre è perché, in realtà, devo elaborare, insieme al lutto, un rimpianto.

Ho conosciuto i Modena City Ramblers lo scorso 13 giugno, in occasione del loro concerto a Collegno – rassegna Colonia Sonora – perché uno dei miei più cari amici è il loro road manager e, qualche tempo prima, m’aveva chiesto di creare dei pass ufficiosi (ed un bel po’ cialtroni) per i membri del gruppo ed i tecnici. Fu una bella serata, quella seduta di grafica.

Da quando aveva iniziato a lavorare per loro, Sergio era cambiato in meglio. Se in gioventù era stato un feroce avversatore a priori della musica italiana e, comunque, resta un personaggio ispido (tipico dei sentimentali in difensiva), di questo nutrito gruppo stradaiolo (nove muscisti e non so quanti tecnici) s’era a tal punto innamorato da coinvolgermi d’ammirazione prima di conoscerli, nonostante non li avessi mai ascoltati, poiché in linea di massima non apprezzo molto il combat folk-rock o come cippa vogliamo etichettarlo.

Fui quindi invitato, come premio per il mio lavoro, a trascorrere con loro il pomeriggio e la cena comune prima del concerto (e poi il concerto stesso, che ho visto dal palco: la più bella esperienza di musica dal vivo della mia vita). All’inizio ero bloccato dalla mia leggendaria ritrosia ma infine, restando nella consueta posizione di sponda, osservandoli vivere e condividere tanta autenticità e gioia, ne fui completamente conquistato.

Non ho termini di paragone, ma non credo esistano molte realtà musicali così affiatate, a certi livelli. Gente che – giacché fuori nisba – s’è fatta il comunismo in casa; persone schiette e felici di condividere musica e strada; nessuna primadonna, persone che trovi al banchetto per il caffè; ramblers di nome e di fatto, camminanti come l’intenderebbe Fossati.

image hosted by ImageVenue.com

A cena ero seduto proprio a sinistra del “gabibbo”, come tutti lo chiamavano, e la sua inclinazione alla crapula mi fu di grande aiuto a superare l’imbarazzo. Conversai amabilmente con lui e Betty, la cantante, seduta in fronte a noi. Quella sera il Gabibbo – il cui nomignolo, tra tutti quelli di cui l’intera banda è caratterizzata, fu il più facile da memorizzare – era felice perché il Genoa era salito in serie A. Indossava la maglia della squadra sotto un’altra. Aveva promesso di mostrarla e, verso la fine del concerto, lo fece.

Sentire un concerto da pochi metri, sul palco, permette di vedere la musica mentre viene creata: è una cosa completamente diversa, fu esaltante. Lui, come molti degli altri, mi parve un grande musicista. Poi, ho una predilezione per le corde bizzarre, come il bouzouki, il mandolino, il banjo… Mentre questo accadeva, sentivo una grande esigenza di comunicarlo. Ma, all’epoca, come blogger, ero in quescienza, quindi pronunciai parole entusiaste per amici e congiunti nei giorni appresso.

Ho poi rivisto il gruppo a Torino, il 5 settembre al festival dell’Unità. Fu un bel momento, meno conviviale per via di ritardi e logistica. Mi commosse scoprire che molti di loro mi ricordavano. Col Gabibbo non scambiai parola, lo vidi appena di passaggio. Quella sera mi ripromisi di mettere giù qualche riga, e così anche qualche giorno fa, scrivendo le mie minchiate sul concerto dei Police, pensavo a quanto questo pezzo sarebbe stato autentico e sentimentale, quanto quello nasceva irridente e vacuo.

Eccomi qui, infine, sapendo che Luca non potrà più leggere quanta stima gli riservasse un passante incrociato nella vita. In ritardo no, ché la vita non è mai in ritardo, seppure non capiamo i suoi tempi. Eravamo coetanei, l’ho scoperto oggi quando i miei colleghi m’han dato la notizia e ho subito aperto il browser e poi telefonato a Sergio. Non avevo saputo dell’incidente perché ho passato il sabato a scrivere post che ora aspetteranno il loro turno, perché il gionale radio del mattino non ha passato la notizia, perché le cose le sai solo quando ti tocca.

Solo due minuti prima di scoprire della sua morte, telefonava mia moglie per annunciarmi la nascita del figlio di amici. Io non sono in grado di dare un senso a tutto questo, l’alternanza di morti e nascite, le simmetrie anagrafiche, mia moglie felice ed io triste, e ciò di cui questi eventi sembrano risuonare. Non so trarre dalle mie parole un bilancio, ma vedo che la vita usa una sua bilancia e spero che esporle i miei sentimenti possa giovare. Una mancanza è qualcosa che resta, a chi rimane. Anche questo avrà un senso.