Togliatti 2 – inciucio reloaded

Mi stupisce, nel dibattersi sul provvedimento d’indulto, che non risorga lo spettro del Migliore. Ho letto che la madre di tutte le amnistie repubblicane aveva una clausola, destinata ad escludere i reati “particolarmente efferati”. Se ne servì la II sezione penale di Cassazione, per rimettere in libertà – a pacchi – scherani che, sì, erano stati efferati, ma non “particolarmente”.

In questa occasione possiamo star certi che non godranno dei benefici di legge i reati di quartiere, ma certo, sì, quelli di quartierino. A qualche giornalista sarà certo venuto in mente questo collegamento storico; in fondo, siamo la patria di Giobatta Vico. Ma non puoi fare un titolo come il mio, su un giornale. Su un blog sì, tié.

a proposito di stile nella comunicazione, scusate se non vi cerco linki e wiki – togliatti, amnistia 1946, furbetti quartierino, giovanbattista vico – (anche se… il wiki di Vico è fico) ma nun ciòttempo né voja. Fatevela da soli, la cultura, caproni 🙂

a truch e branca

Rubricaprina piemontese
Terza puntata

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In quest’occasione capro-piemontese, cari esploratori delle gesta di paco e baròt – montanari e contadini – che, fin dagli albori industriali, hanno dato carne al motore produttivo italiano, cantiamo l’etica fondante del popolo fu sabaudo: il lavoro come dovere primario, appunto.

Per capire qualcosa di questa religione laica che ci abita – il doverismo – può valere la letteratura (“La chiave a stella” di Primo Levi, con il protagonista Faussone quale eroe eponimo) ma anche l’aneddoto personale: ad esempio mia madre che, ottima allieva, portava a casa dei nove e dieci in tutte le materie e veniva premiata dalla nonna con un t’las mac fait ël tò dover – hai solo fatto il tuo dovere. Sono soddisfazioni, si cresce sicuri di sé, come no: trasparenti come il vetro ed altrettanto fragili.

Una curiosità, indicativa del nostro culto per il lavoro, si trova anche in parole d’uso quotidiano utilizzate un tempo per indicare misure spessimetriche in meccanica di precisone. La plà – pelata (0,15 mm), la fërvaja – briciola (0,13 mm), la pladin-a – pelatina (0,05 mm), il cicinin – piccola quantità (mm 0,015), la bërlicà – leccata (0,01 mm) ed altre, salendo e scendendo di misura (NdR – i termini sono ricavati da Ël Neuv Gribàud – Dissionari Piemontèis).

Immaginate il burbero capofficina spiegare al bòcia – garzone, letteralmente ragazzo – che mbele sì a vénta gavèjne ën cicinin e peúj dèje ancora na bërlicà: termini all’apparenza bizzarri e vaghi per indicare una fresata di 0,025 millimetri. Non è, questo, popolo che faccia le cose a branche – spanne – 23 centimetri: termine che, giustapposto al truch – collinetta o tranello – del titolo, indica approssimazione nella misura. Un’approssimazione su cui si scherza volentieri, quando si maneggia lo stato dell’arte come pochi.

NOTA FONETICA
cc -> c palatale (es. cibo, cera).
ch -> c gutturale (casa, conte).
é -> e chiusa (vela, nero).
è -> e aperta – moltissimo 😀 (terna, vello).
ë -> e semimuta alla francese.
-> come eu francese.
gg -> g palatale (gelo, gita).
gh -> g gutturale (gara, gota).
j -> i distinta non semivocalica (mai, sei).
n- -> n faucale – il suono impossibile per un non piemontese, vagamente simile alla n velare (fango, vanga) però sordo, marcato e trascinato: immaginate di pronunciarlo come le… can-zoni di una volta :-).
ò -> o aperta (mole, toga).
o (secondo altri ô) -> o molto chiusa, quasi u.
s-c -> s sorda + ce / ci a produrre due suoni distinti (pronuncia alternativa – ad es. – di scentrato).
ss -> s sorda.
u -> ü (più u alla francese che ü alla tedesca).
v -> u se in fin di frase (con elisione dell’eventuale o finale: es. giovo – giovane – quasi giùu).
zs -> s sonora.

NOTA EDITORIALE Diversamente dalle altre rubricaprine – raccolte di scritti per buona parte già esistenti – questa nasce dal desiderio di scrivere qualcosa – piccoli saggi – su lingua e cultura in cui sono cresciuto. Non si compone quindi di un cappello fisso seguito da testi generalmente raccolti sotto titoli interni, ma propone una serie di temi con rimandi via link alle precedenti puntate, come per le rubriche dell’anno passato (che trovate nella stiva).

Trattati il sarcasmo come autodifesa nei rapporti umani, la difficoltà ad abbandonarsi ai sentimenti e l’ipetrofico senso del dovere, la prossima puntata sarà quella finale: il piemontese di fronte a vita e morte. Certo avrei potuto dilungarmi ma, vuoi che si tratta di scrittura impegnativa, vuoi che non so quanto possa fregare a voi lettori di queste mie piccole manie antropologiche, penso che questo corpus ridotto ma significativo possa bastare. Ho già in progetto una rubricaprina spam, per sostituire questa: mi pare un argomento più sulle nostre corde. La prossima puntata del piemontese caprino, indicativamente prevista intorno ai primi di settembre, sarà quindi inserita nel portolano ed in stiva per – come dicono i buoni archivisti – futura referenza.

Prima puntata; seconda puntata

la palla è rotonda (e piuttosto gonfia)

Calciopoli, ultime notizie. Il presidente uscente, rimbalzante e rientrante della Figc ha dichiarato, con una nota a mezzo stampa: “È inconcepibile che nel campionato più bello del mondo il titolo venga assegnato a tavolino. Questo non dovrà mai più ripetersi. Ho già dato disposizione a mio cugino, Marmo Carraro, di procurarne uno grande e massiccio, di tavolo”.

let’s bank

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Oggi ho incocciato un manifesto della banca Bipop Carire. Un 70×100 banalotto dov’è inquadrato un torso maschio rivestito di maglietta. Sulla maglietta, un tasso (non in senso ambientalista, proprio una percentuale in numeri). Roba di sostanza, però di scarso appiglio. Su qualche poltrona ergonomica, presto un culo comincerà ad agitarsi: “dobbiamo essere più incisivi, farci ricordare”. Ho immaginato con raccapriccio che, tra non molto, un creativo, un pubblicisauro infoiato, radendosi un mattino, scoverà il jingle definitivo…

a uan a ciu a uan ciu tri for
Bipop Carire she’s my ba-a-ank…

robi

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Oddio non ci credo, è tornato. Sotto casa mia, al mattino mentre dormo gli ultimi scampoli, un esagitato al telefonino inveisce contro tale Robi su questioni di denaro. Primo piano, estate, finestra aperta: impossibile scampare ai rumori, siano il camion dell’immondizia, l’incapace che tira le marce. O questo pazzo. Era già apparso tre giorni fa, sempre al mattino, facendo le volte del leone sul marciapiede di fronte: lamentava la mancata restituzione d’una somma importante. Le scuse, i sotterfugi, gli altri debitori: nulla mancava nell’invettiva, che potesse incuriosirci. E quel continuo intercalare: Robiii, te l’ho già detto; Robiiiii, non puoi continuare così; Robiiiiiii, i miei soldi… Teatro di strada, atto unico d’un quarto d’ora. È riapparso stamane, parcheggiato col finestrino aperto proprio sotto alla mia finestra.

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Altri dettagli: il debito è di 200mila euro (‘sti cazzi), le banche non aiuteranno certo il reprobo, ormai infognato con tutti. Ogni frase inizia con un Robiiiiiiiii sempre più trascinato. Tra le grida si smozzicano i finali, sembra di vedere le vene del collo tendersi mentre le sillabe si strozzano in un gorgolio isterico. Sto cominciando seriamente a pensare di chiamare qualche forza per un po’ d’ordine, quando il tipo ormai allo stremo comincia a minacciare: sono sotto casa tua, Robiiiiiiiiiii; io t’ammazzo, Robiiiiiiiiiiiii. Mmh, il cittadino ed il bastardo cominciano a lottare dentro me: forse non servirà chiamare la polizia, verrà da sola tra un po’, regalando al sonnacchioso quartiere un quarto d’ora di nera, in prima serata e prima pagina. Forse senza neppure perdere un altro risveglio. Sapremo gli ultimi dettagli, Robiiiiiiiiiiiiiii.