Rubricaprina piemontese
Terza puntata
In quest’occasione capro-piemontese, cari esploratori delle gesta di paco e baròt – montanari e contadini – che, fin dagli albori industriali, hanno dato carne al motore produttivo italiano, cantiamo l’etica fondante del popolo fu sabaudo: il lavoro come dovere primario, appunto.
Per capire qualcosa di questa religione laica che ci abita – il doverismo – può valere la letteratura (“La chiave a stella” di Primo Levi, con il protagonista Faussone quale eroe eponimo) ma anche l’aneddoto personale: ad esempio mia madre che, ottima allieva, portava a casa dei nove e dieci in tutte le materie e veniva premiata dalla nonna con un t’las mac fait ël tò dover – hai solo fatto il tuo dovere. Sono soddisfazioni, si cresce sicuri di sé, come no: trasparenti come il vetro ed altrettanto fragili.
Una curiosità, indicativa del nostro culto per il lavoro, si trova anche in parole d’uso quotidiano utilizzate un tempo per indicare misure spessimetriche in meccanica di precisone. La plà – pelata (0,15 mm), la fërvaja – briciola (0,13 mm), la pladin-a – pelatina (0,05 mm), il cicinin – piccola quantità (mm 0,015), la bërlicà – leccata (0,01 mm) ed altre, salendo e scendendo di misura (NdR – i termini sono ricavati da Ël Neuv Gribàud – Dissionari Piemontèis).
Immaginate il burbero capofficina spiegare al bòcia – garzone, letteralmente ragazzo – che mbele sì a vénta gavèjne ën cicinin e peúj dèje ancora na bërlicà: termini all’apparenza bizzarri e vaghi per indicare una fresata di 0,025 millimetri. Non è, questo, popolo che faccia le cose a branche – spanne – 23 centimetri: termine che, giustapposto al truch – collinetta o tranello – del titolo, indica approssimazione nella misura. Un’approssimazione su cui si scherza volentieri, quando si maneggia lo stato dell’arte come pochi.
NOTA FONETICA
cc -> c palatale (es. cibo, cera).
ch -> c gutturale (casa, conte).
é -> e chiusa (vela, nero).
è -> e aperta – moltissimo 😀 (terna, vello).
ë -> e semimuta alla francese.
eú -> come eu francese.
gg -> g palatale (gelo, gita).
gh -> g gutturale (gara, gota).
j -> i distinta non semivocalica (mai, sei).
n- -> n faucale – il suono impossibile per un non piemontese, vagamente simile alla n velare (fango, vanga) però sordo, marcato e trascinato: immaginate di pronunciarlo come le… can-zoni di una volta :-).
ò -> o aperta (mole, toga).
o (secondo altri ô) -> o molto chiusa, quasi u.
s-c -> s sorda + ce / ci a produrre due suoni distinti (pronuncia alternativa – ad es. – di scentrato).
ss -> s sorda.
u -> ü (più u alla francese che ü alla tedesca).
v -> u se in fin di frase (con elisione dell’eventuale o finale: es. giovo – giovane – quasi giùu).
zs -> s sonora.
NOTA EDITORIALE Diversamente dalle altre rubricaprine – raccolte di scritti per buona parte già esistenti – questa nasce dal desiderio di scrivere qualcosa – piccoli saggi – su lingua e cultura in cui sono cresciuto. Non si compone quindi di un cappello fisso seguito da testi generalmente raccolti sotto titoli interni, ma propone una serie di temi con rimandi via link alle precedenti puntate, come per le rubriche dell’anno passato (che trovate nella stiva).
Trattati il sarcasmo come autodifesa nei rapporti umani, la difficoltà ad abbandonarsi ai sentimenti e l’ipetrofico senso del dovere, la prossima puntata sarà quella finale: il piemontese di fronte a vita e morte. Certo avrei potuto dilungarmi ma, vuoi che si tratta di scrittura impegnativa, vuoi che non so quanto possa fregare a voi lettori di queste mie piccole manie antropologiche, penso che questo corpus ridotto ma significativo possa bastare. Ho già in progetto una rubricaprina spam, per sostituire questa: mi pare un argomento più sulle nostre corde. La prossima puntata del piemontese caprino, indicativamente prevista intorno ai primi di settembre, sarà quindi inserita nel portolano ed in stiva per – come dicono i buoni archivisti – futura referenza.
Prima puntata; seconda puntata