digitale e corporale

In questi giorni ho fatto alcune riflessioni sul terrain vague che sta fra il mondo digitale e quello vivo e vegeto. Pensavo di farci tre post sul tumblelog (un photo post, uno di testo, un quote post) ma ne sarebbe uscito un paciocco grafico intollerabile, il filo del discorso ne avrebbe risentito, così opto per un unico post a capitoli su questa vecchia imbarcazione.

I – fratello digitale sì, ma… fai vedere le mani

Ieri, grazie a questo bellissimo video scovato sul Tumblr di Pandemia e ad un brandello di Phonkmeister, scopro la nuova idea della grande G: Google Docs. Sembra interessante e ci faccio un salto. Ne ricavo la risposta che riproduco in immagine.

[immagine hackerata, quindi cancellata]

Tralasciamo pure la parola mancante nella prima fase dell’alert (cosa mai non sarà supportato?) ed esaminiamo il resto: a causa della mia situazione hardware/software, decisamente antiquata, sono abituato al ripudio da parte di siti più o meno fighetti ma, in questo caso, rimango innanzitutto un po’ offeso dalla notazione che “tutto ciò è gratuito” (ma i soldi per cambiare computer chi me li dà?) e decisamente inquieto nel leggere che il trucco suggerito mi porterebbe al crimine e, comunque, ad un buco nell’acqua.

Dico io se è questo il modo di traccheggiare su un’esclusione digitale che – seppure sia accettabile date le premesse tecniche – a Mountain View evidentemente non riescono a proporre con l’onesta di siti meno generalisti (tutti lo sono rispetto a Google) scrivendomi un semplice “we’re sorry, you suck: get your ass off here”.

II – fratello digitale sì, ma… vorrei vederti in faccia

Per fortuna la Rete è fatta di relazioni tra persone (ma non vorrei conoscere chi ha scritto quell’alert 🙂 e noto con piacere che per un paio dei miei digital brodas è venuta la stagione della faccia da metterci. Un dì anch’io salpai dietro un nick ed un avatar, ma sempre viene il tempo in cui il corpo reclama i suoi diritti. Per me iniziò con nome e cognome su Ita®iani e, poco prima… dell’Aventino, anche la faccia su Technorati (lo stesso brutto ceffo che si gode chi mi segue da un tumblelog su Tumblr). Giusto un anno fa, feci un’outing per i meno smaliziati; in tutto questo tempo, in tutte le relazioni epistolari minimamente intense intrattenute con colleghi scriventi, ho sempre fornito i miei dati completi (indirizzo, telefono, ecc.). A che scopo nascondersi? ci sarà mica un Mark Chapman per noi, che non siamo certo profeti pop? Per noi, della razza di chi rimane a terra, bene che vada, ne sortisce una relazione autentica.

Qualcosa di simile deve aver pensato madame De Feo (dopo averne però passate, di forche caudine, con il pubblico ed eclatante strame fatto della sua identità) che, in pochi giorni, dopo aver dato la caccia al commentatore (spingendomi a dichiararle il mio amore via commento) getta sui suoi lettori tutto il nuovo confuso e dolce entusiasmo per i luoghi di multiple relazioni dove la sua rotta l’ha portata, il tutto farcito da bellicosi propositi d’esternazione. Benvenuta nella nuova stagione, Fulvia a.k.a. Lia. Stagione fatta tanto di parole che di persone.

A proposito di novità e facce esposte, saluto anche la prima immagine pubblica (per quanto la mia lunga carriera di esegeta possa ricostruire e tolta una miniatura scurita d’un eone fa a mo’ d’ava-tarro) del mio migliore web-amico Giordano (la cui faccia, per buona sorte, avevo avuto il piacere di vedere di persona quando lui e Valentina vennero a Torino per farsi scarrozzare nella città olimpica – purtroppo non avendola rivista da allora).

III – fratello digitale sì, ma… vorrei annusarti

Concludo questa tiritera un po’ confusa e molto più tirata via di quanto avrei voluto (manca il tempo…) con un brano estratto da una privata corrispondenza – ormai da tempo ingaggiata, con reciproca soddisfazione – tra me ed un blogger di quelli con cui ho tentato una delle mie due esperienze collettive in rete, al momento ambo arenate, per quanto siano state costruttive e piacevoli. Il mio amico – il cui nome conosco ma non rivelo (non è stagione ancora, per lui?) – riesce, con mirabile sintesi e come meglio non saprei, a dare compimento al mio pensiero circa la necessità primaria d’essere carne, prima d’essere scrittura e bit.

“(…) a noi ci frega proprio la mancanza di serate fisicamente trascorse in combutta, possibilmente preferendo un locale luppoloso al sesso tra noi. Di diventare amici anche con la presenza corporale (…) I progetti in rete funzionano se c’è un’amalgama anche esteriore a internet, interiore all’esternet. È vero, le distanze sono annullate, ma proprio questa easytà rende problematico un continuum. È come vivere in bolle contigue, che più vicine si respingono a guisa di calamite. Questa è la vera calamità di internet”.