ecco cosa sto facendo

Questo blog, cristallizzato da tre mesi, compie oggi due anni. Pur senza post, la media di dodici pagine giornaliere – metà di quando s’era attivi – mi fa credere che, oltre a spider, grabber, lurker ed altre cacofonie retaiole, qualche umano passi a vedere se son vivo. Addirittura – ma è un’ipotesi – qualcuno dei vecchi lettori potrebbe essersi accorto che il tagroll cresce con una certa costanza e magari – questa è fantascienza – lo trova utile. Fuor d’ironia, mi piacerebbe leggerlo pixel su schermo, se c’è chi usa il mio repertorio di link: questa è la volta enne che lo chiedo, magari qualcuno potrebbe muoversi a pietà, siccome non sono più molte le occasioni di fare due chiacchiere, da queste parti.

Detto del tagroll ed implicitamente del fatto che frequento ancora la rete, anche se meno i blog, vi ragguaglio velocemente sulla mia vita hardware, prima di tornare in quota deliri telematici. Nella prima metà di questa lunga pausa ho tirato il fiato, pensato a lavorare senza il pensiero di dovere, una volta a casa, lavorare per divertirmi; sicché ho avuto più tempo per accorgermi che ce l’ho, una casa, per giunta abitata. Poco dopo metà dicembre sono arrivate le meritate vacanze, piuttosto lunghe; ora ho ripreso il lavoro in albergo, con lentezza da bassa stagione. Quindi, per quest’ultimo periodo e nell’immediato futuro, fino alla primavera, il progetto in corso ha come parola d’ordine: sgombero.

Mi sto privando di cose che “non si sa mai”, cose che “ci sono affezionato”; roba che non serve ed intasa. Razionalizzo gli spazi guadagnati, faccio pulizia, qualche modifica, un muro in cartongesso ecc. Tutto questo ha riflessi positivi sulla mente, che a sua volta si amplia, pulisce e vede meglio cosa valga la pena perseguire, cosa abbandonare. La dinamica non cambia e se dico “devo decidermi a svuotare lo sgabuzzino grande” (quello piccolo è già stato bonificato) la mia ansia non è dissimile da quando dicevo “devo proprio finire quel post su”. La sottile enorme differenza sta nel non attendere conferme, nel dover rendere conto solo a sé ed ai propri affetti primari di ciò che fai – o tenti – di buono.

Ritorno dentro lo schermo. Scrivendo in rete, la cosa inattesa più bella è stato fare amicizia. Amici di penna vecchio stile: arduo purtroppo incontrarli la sera – ostano i chilometri – quindi intruppati nel cicaleccio tipico degli scriventi, che tra loro soprattutto scrivono sullo scrivere e scrivendo progettano castelli di scrittura. Gente così. E così mi sono arruolato nella ciurma del Pesce Enigmistico, ultima nata tra le facoltà di Chaltroonia ad opera del Rettore MagniFricat, dove è già pronta una categoria (menace from outer spam) per ridare nuova vita alla rubricaprina spam, morta in culla dopo una sola puntata. Testualità malandrina per un collettivo visual-delirante, esordio previsto a giorni.

L’incontro ad orologeria, che ha ridestato la vena, è stato poi la recente creazione di Surripedia da parte di SecondoSigillo. Ecco quattro cialtroni a fare il contropelo al dizionario, con ampi progetti eversivi. Da poco più di due settimane vi posto un lemma al dì: buonumore garantito ed un’oasi, per me che non riesco più a gestire scritture estese nella vita in frammenti. Tuttavia, non potendo negare la mia natura d’organizzatore mannaro, ho sobillato gli altri surripedali (sodali in Surripedia) a lavorare sotto il cofano per un un database ben fatto, ché il repertorio in cantiere lo merita. Infine, ad imperio del sentimento e senza affanni, ogni po’ una tappa sulla creatura collettiva più amata non mancherà.

In attesa di ritrovarci in giro o semmai qui, vi lascio con un aneddoto sul mio avatar. La testata lana caprina fu scelta in onore della capziosità, del culto per il dettaglio che svela l’insieme, per la wildiana superficie ove attingere alla vera profondità. Poi, varato il natante, venne istintivo tanto dotarlo di paratesto a tema marinaro, per puro gioco infantile, quanto scegliersi un’immagine di capra per l’avatar di Splinder (pronti a tacciare di caprinità chi avesse avuto da obiettare alla bizzarria d’un caprone imbarcato come nostromo). Mountain goat, recitava il titolo dell’immagine trafugata grazie a Google. Mi piaceva, così bianca e solenne (e contrastata, il che, per un quadrato di 48 pxs…).

In tutto questo tempo non mi sono mai peritato di saperne di più, sull’ovino che ci mette la faccia al posto mio. Giorni fa mio figlio, in una scatola di dolciumi, ha trovato una scheda naturalistica sul mio alter ego. Adoro indagare i messaggi che le presunte coincidenze regalano. Vediamo un po’. Vive nelle Montagne Rocciose ed in Alaska (amo freddo e montagna). Non è una vera capra, ma un parente stretto del camoscio (salve, Piemonte). La sua lana è più pregiata di quella delle capre del Cashmere (stile innanzitutto). Era quasi estinta (non a caso, qui abbiamo chiuso). Da novembre a gennaio ha il periodo degli amori (ecco, io ho avuto il periodo degli accoppiamenti con altri bloggaroli scellerati).

E con ciò vi saluto, capra più che mai. Ci si rilegge in giro.