Uno crede che l’Australia sia una nazione di giuggioloni palestrati, in ragione di 2,6 ogni chilomentro quadrato, capace giusto di produrre, in campo culturale, qualche rocchettaro cazzone od attrice manierata. Invece leggi un’intervista (di Elkan su Specchio) a Robert Hughes, un anziano critico d’arte da molti definito il migliore vivente, e scopri il lato profondo dell’Occidente antipodo. Lasciamogli la parola.
Alla domanda iniziale – cosa sta succedendo nel mondo dell’arte contemporanea? – Hughes risponde: “Di fatto, niente di particolarmente interessante. È un’epoca dominata dalla frammentazione e dal più noioso manierismo”. Più avanti: “Non penso che il mondo culturale abbia un centro: è una grande periferia. Il modello centro-province nacque a Roma, morì a New York e non può essere risuscitato”.
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Ecco perché al meschino giornalista, cui continuano invano ad arrivare segnalazioni di mostre, prende un sospetto di specioso provincialismo quando legge di questa recente inaugurazione. Tale Simon Starling si prende gioco di uno degli autentici geni misconosciuti del Novecento – il torinese Carlo Mollino (link 1, 2, 3) – con un’operazione il cui gusto estetico, per tacer del senso, potete giudicare da voi nella foto qui sopra. Per chi non ha voglia di seguire il link, quel coso sul cofano è la riproduzione d’un radiatore disegnato da Mollino per un’auto a nome Bisiluro. Con la sinuosa Panda, un azzecco che non ti dico.
Torniamo ad ascoltare Hughes: “Sì, l’arte contemporanea è di moda. Lo deve essere: l’arte più antica non riesce a soddisfare la domanda e ci sono sempre ricchi illetterati che credono nel fantasma di un’avanguardia perpetua. L’anno prossimo sarà ancora più di moda e così via. E poi verrà la recessione e si ricomincerà da capo. Una storia noiosa e ripetitiva, questo ciclo di tumescenza. L’ossessione del mondo dell’arte per il denaro è disgustosa”.
Il fantasma di un’avanguardia perpetua, un ciclo di tumescenza… Quanto mi confortano queste parole se le confronto con una dichiarazione di Sol LeWitt, letta sulla presentazione di quest’altra inaugurazione: ‘‘Il disegnatore e il muro instaurano un dialogo. Il disegnatore si annoia, ma poi, attraverso quest’attivita’ priva di senso, trova la pace o il tormento. Le linee sul muro sono il residuo di questo processo. Ogni linea e’ importante come ogni altra. Tutte le linee diventano una cosa sola. Chi guarda le linee non vede altro che linee su un muro. Sono prive di senso. Questa e’ l’arte”
Ma davvero?!? Nuovamente, le parole di Hughes chiudono il cerchio dello s/conforto. Massimo esperto mondiale di Goya, così ne tesse le lodi: “Lui è uno dei veri eroi del suo tempo: un dissidente d’immensa coscienza, un grandissimo disegnatore sensuale ed ironico (…) non c’è nessuno, oggi, che possa essere paragonato a lui”.
Forse ha ragione uno dei protagonisti del film “Le invasioni barbariche”, quando sostiene che l’intelligenza non è una caratteristica dell’individuo, ma un fenomeno collettivo nazionale intermittente (nel dialogo che segue si citano Atene, Firenze rinascimentale, l’America dei padri fondatori). Per lunghi periodi, l’intelligenza s’eclissa. Probabilmente, il buio durerà ancora a lungo.