sto facendo altro

Niente scherzetto (ricordate la mia avversione per il tunnel delle feste che inizia oggi?). Non sono qui per fare degli auguri, né lo sarò ai prossimi giri di boa. Poiché non c’è un modo bello per dirlo, veniamo subito al sodo: lana caprina chiude. Chiuso, closed, fermé, cerrado, fechado.

mi comporterò da farabutto e sarà bello

Avevo pensato di fuggire all’inglese, come fece mastro Brenz a suo tempo, sparendo nel nulla senza neppure rispondere ai commenti. Ma non è il mio stile, poi non intendo abbandonare il web (e neppure questo blog, di cui – ammesso e non concesso che non riapra un dì – continuerò ad avvalermi per la memoria storica, i link che contiene, ed il tagroll che continuerà a crescere). Infine, mi pareva sgarbato non dare neppure uno straccio di spiegazione.

solo chiacchiere e distintivo

Il lungo post precedente mi è costato diverse ore sottratte al sonno ed alla famiglia, vittime predestinate. Però, nonostante la captatio benevolentiæ, fatta di ammicchi che chiedevano un coinvolgimento al lettore, non ha tirato su nemmeno un commento. Non ne faccio una colpa a nessuno, beninteso. Sono conscio d’avere un blog di nicchia dentro la nicchia che è già la blogosfera italiana. Gli è che metà dei miei – diciamo quindici – lettori è già d’accordo a prescindere (la predica ai convertiti) e l’altra metà è composta da lurker benevoli quanto tetragoni (la predica ai sordi). Così non mi pare costruttivo andare avanti, volendo fare di tanto in tanto del civico giornalismo, oltre a farcire i tempi morti di bagatelle. Ci pensavo da un po’: la palese recente discrasia tra sforzo di produzione e risultati di condivisione ha solo fatto da catalizzatore.

siamo in tre: io, Smith & Wesson

Questo vecchio natante – dopo 21 mesi, 518 post ed all’incirca altrettanti commenti – rientra dunque in rada a tempo indefinito. Ma è inutile che nasconda la nostalgia preventiva dietro la finzione marittima. Parliamo di ciò che c’è qui ed ora: il nostromo resta in circolazione. Punto primo: vado a vivere nei commenti, come auspico da tempo. Quelli qui sotto, per chi volesse ulteriori spiegazioni; i vostri, siccome avrò più libertà per girare in rete. Inoltre, quando avrò qualcosa di serio da dire, lo farò su Ita®iani mentre, quando il giullare prende libera uscita, c’è sempre l’Università di Chaltroonia – a.k.a. Froottle – che può darmi ospitalità.

abbiamo bisogno di una barca più grande

Per concludere, non appena ho pensato di liberarmi della zavorra, subito la mia testolina ha cominciato ad elaborare idee su un nuovo progetto web. Non ho molto da dire, per ora, anche perché sono tutt’altro che certo di cavarne qualcosa il cui impegno sia compatibile con la mia vita. Semmai, sarà questione di coinvolgere altri. Ho in mente qualche spunto: priorità ai temi e non ai contenuti (i primi li devo ancora individuare, saranno premessa ideale e linea guida; dei secondi la rete strabocca: bando alla produzione originale e via col saccheggio); alternanza di lettere, suoni, immagini (sia fisse che mobili) e pubblico internazionale, quindi prevalenza alla lingua inglese. Vediamo se si riesce a combinare qualcosa; se no, saremo stati comunque vivi.

un Nervi scoperto

Parliamo di cose che succedono a Torino, ma questo post non è l’articolessa minacciata tre settimane fa, che resta alla fonda, tra fasciami da ribattere e carpenteria da accoppiare. Siccome i tempi da Sagrada Familia del cantiere mi stavano fottendo ciò che ormai è attualità, scorporo una parte degli argomenti per un frizzante postaccione a tema architettonico-civile. Parliamo intanto d’un evento che, fino a giovedì 26, coinvolge Torino nelle celebrazioni per la giornata delle Nazioni Unite – oggi 24 ottobre – il cui tema quest’anno è “alleanza globale contro il lavoro forzato”.

Non mi dilungo sugli eventi collaterali – “la notte di RadioUno” che trasmette interviste ad ex corsisti Ilo, gl’immancabili dibbbbattito e concerto, la Mole Antonelliana tinta di blu iuèn (leggasi in fondo al link precedente) – ed altre iniziative commendevoli – lo svelamento d’una targa all’aeroporto che rammenti infine all’universo mondo che Torino è la quinta città Onu del pianeta (lo si diventa ospitando la sede primaria di un’agenzia, nel nostro caso lo UNSSC) dopo Ginevra, NY, Vienna e Roma (Fao). Il brodo s’allunga e poi, se dico cazzate, rischio il lavoro :-). Vi parlerò invece di me e di come sono coinvolto nella giornata di giovedì, quando il presidente della Repubblica Napolitano verrà a visitare il campus dove lavoro e terrà una concione alle 10,30.

Lo scorso luglio prenotai una visita ortopedica. Sapete i tempi della sanità; indovinate il giorno in cui fu fissata? esatto. E l’ora? sbagliato: alle 10. Forse farò persino in tempo, rientrando, a passare la fogna dei pulotti – pardon, si chiama cerimoniale – già pronti a levar le tende. Il mio capo m’ha detto: ma come? disdici, posticipa. Intanto non ho nessuna voglia d’aspettare altri quattro mesi per una normale visita di controllo; poi, il numero di prenotazione è 666. Voi sfidereste il vostro karma, mettendovi contro la Bestia per onorare un uomo, per quanto presidente e gentiluomo?

Non partecipando all’assise, non potrò compiere il gesto che mi renderebbe l’eroe risorgimentale dei miei sogni riposti: alzarmi tra il pubblico e declamare: “Signor Presidente, a pochi metri da qui, in stato di semiabbandono, muore una cattedrale laica: il monolitico eppur leggiadro Palazzo del Lavoro, orgoglio dell’architettura italiana moderna, simbolo del centenario dell’unità d’Italia, prossima vergogna del 150esimo. Mentre noi qui discettiamo su sacri ed astratti principi, il luogo dove la storia di questo centro di formazione ha avuto inizio – più di cinquant’anni fa, coi primi corsi per tornitori e fresatori che, rifiniti, tornavano nei loro Paesi, oggi come allora sulla long and winding road dello sviluppo – va a pezzi nella patria indifferenza”.

Naturalmente, tutto questo discorso alloggia molto meglio qui nella finzione, tra amici, poiché nella realtà, dopo una dozzina di parole, sarei stato sicuramente gettato a terra da tipi vestiti di scuro usi a parlar col proprio bavero; avrei perso il lavoro ed a voi sarebbero toccati venti post al giorno – tutti tristi – fino a quando m’avessero tagliato i fili del telefono. Però il problema esiste, come potete vedere dalle foto. Il 18 febbraio 2005, mentre ci si chiedeva come mascherarlo affinché i turisti olimpici non ne vedessero lo scempio – operazione abortita – La Stampa annunciava trionfale che finalmente il demanio aveva deciso di vendere palazzo Nervi – dal nome del suo artefice – e che il Comune avrebbe potuto, se non acquistarlo, almeno ristrutturarlo.

Lo scorso 17 agosto, nel mezzo del tripudio per la crescita turistica nel ferragosto postolimpico, La Stampa confermava che il Comune non parteciperà all’asta demaniale e – parola dell’assessore Alfieri – si spera l’acquisti un privato per farne “una piazza coperta che mostri le splendide colonne, con attività ed uffici lungo il perimetro vetrato”. Ora, mentre decadeva, il palazzo è già stato usato per ospitare mostre, uffici (per un breve periodo anche la sezione stranieri della Questura) e persino campi da badminton sui tetti interni degli uffici (col sole al tramonto, sembrava d’essere su un set di Kubrick). Oggi ospita la facoltà d’Economia e Commercio e poco d’altro.

Davvero qualcuno può credere in buona fede che esista ancora, in Italia, un mecenate che spenda la mostruosa cifra necessaria per i lavori di ristrutturazione d’un simile gigante edilizio, per ricavare qualche spicciolo dagli affitti della porzione attrezzata, a occhio il 15% della cubatura? Sarebbe più plausibile nasconderlo con un imballo di Christo: ci avevano già pensato, come avete potuto leggere dal link precedente, però forse costava troppo in domopak.

Fossimo ammericani, alle volte… Vorrei conoscere uno di quegli oscuri miliardari texani – stivali e Stetson ma anche Tito Livio e Le Corbusier; uno che non si vergogni né dei suoi averi né dei suoi modi spicci. Vorrei che costui smontasse il mio amato palazzo per riedificarlo, chessò, a San Antonio. Meglio sano e lontano che lì, sulla porta sud della città, a testimoniare la nostra inettitudine.

Mi date una mano? Mettiamo alla prova i sei gradi di separazione e troviamo il mecenate yankee? Ehi, adesso che ci penso, negli stessi giorni di Napolitano è a Torino anche David Copperfield. Lui, certo, il miliardario che mi serve lo conosce. Male che vada, può far sparire l’obbrobrio. Ho deciso dove farmi arrestare giovedì: corro a comprare un biglietto per la mia illusione.

the spamgoat

Rubricaprina spam: il pastone e la carota
Prima puntata

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Affascinato da lunga tratta (vedi qui e poi ) dai mittenti automatici generati dagli spammer, il nostromo s’è piccato di cavarvi un ordine dal caos.

Coi fichi secchi di due termini accoppiati a muzzo – intercalati da una talvolta appropriata lettera middlename – qui si tenta un carotaggio semantico che riconduca al logos lemmi sparsi da applicativi senz’anima, per celebrare le nozze d’un senso ritrovato tra Queneau e Bergonzoni, Eco e Peres, Tzara e Bartezzaghi, Dada e Umpa.

Fiero della mia fregola titolatoria, ho tuttavia combattuto la tentazione di categorizzare a priori gli ambiti che son venuti a crearsi. Insomma, neppure i nomi di lavorazione vi darò: per meglio divertirci, attendo nei commenti la vostra definizione d’ogni singola puntata. Allora, andiamo: di cosa si legge oggi?

Provosts V. Christopher
Pleasantly E. Sacrosant
Reverence H. Pended
Churchgoer L. Obstetric
Benedictions P. Chung
Disclosure A. Resurrecting
Jonquils H. Incarnating
Goddamned Q. Monograph
Espousal A. Crematories
Subsidence Q. Saves
Paradises L. Jesters
Rebroadcaster C. Sodom
Aspen D. Luxuriates
Snobby H. Repossessed
Magnetization F. Dogmatist
Believer R. Overachiever
Flipper H. Televangelist
Dissonance H. Mormonism
Sikh C. Benzedrine
Vishnu O. Rust
Moslem C. Circumnavigating
Corporation I. Fundamentalism
Booming L. Christs

infanzia letale

[immagine hackerata, quindi cancellata]

Immagine agghiacciante, vero? Vi debbo dunque delle spiegazioni. Tra i soli sei giochi che ho sul computer da sempre – tutti per bambini – ce n’è uno dove ci si diverte ad applicare attributi animati in gif a tre frutti intercambiabili: una mela, una pera ed un’arancia. Gli attributi sono, come potete vedere sulla destra: occhi, nasi, orecchie, bocche, sopracciglia, braccia. È un giochino divertente, ma il figlio cresce ed è il momento di qualcosa di più educativo. A fagiolo – grazie a Giordano – ho scoperto questo dressup dedicato al reborn moron Mel Gibson.

L’amico Giordano, a ragione, mi mette in guardia sulla necessità di spiegare all’innocente i vari sottotesti legati agli ammennicoli. Come a dire che il gioco va bene solo per adulti cinici. Ad esempio – nei commenti che ci siamo scambiati – mi porta il cappuccio del Ku Klux Klan, ma già basterebbe quella sorta di cappuccio rovesciato che è la tiara, a sua volta simbolo, seppure in un oscuro passato, di spicce prassi per ripulire la società. Insomma, dovrei forse tenere il pupo a distanza di protezione dall’idiozia e dalla cattiveria umana? Non ne sono convinto.

L’Occidente Avariato ha un rapporto ormai completamente schizofrenico con l’infanzia, che tenta invano di proteggere dal vuoto che ha creato e diffuso. La salvaguardia dei discendenti è un fatto naturale, ma se una specie ha il dubbio di essere avviata all’autodistruzione questo istinto, privato della sostanza, non può che produrre aberrazione. Ed ecco che il linguaggio educativo s’avvita nel tentativo di rendere imperscrutabile ciò che sarebbe semplice; ecco che potenti e cafoni s’investono del diritto di prendersi creature come merce al supermercato.

In Giappone, poi, la merce in questione può già essere etichettata a radiofrequenza. Di tutto si fa per dare ai nostri eredi una sicurezza che è solo sicumera, rendere liscio un percorso che non può esserlo. Infatti poi, magari, offriamo al pargolo viziato ed insicuro la minimoto perlopiù farlocca – che si dovrebbe guidare solo nei circuiti, ma in compenso si può comprare ovunque – così che possa far la fine di Icaro, cadendo dall’apice d’un benessere fittizio e vuoto.