blogging with strangers (Blog Day 2005)

Quest’iniziativa del Blog Day m’è piaciuta (qui un riassunto in italiano). Non è una catena (come si sa, non ne vado pazzo) quindi ho convinto BobRock a partecipare. Benché sia difficile recensire “preferibilmente blog differenti dalla propria cultura, dal proprio punto di vista e dalle proprie attitudini” come richiesto dagli organizzatori, abbiamo pensato di cavarcela segnalando soprattutto blog che ci piacciono in ambiti che non abbiamo tempo od energie per frequentare, quindi capisaldi culturali sguarniti. Sacche d’ignoranza, insomma.

La rassegna inizia con Masayume, che conobbi grazie a Blog Observer. Gatti. Giappone. Giochi. Grafica… A parte l’inquietante prevalenza della lettera G tutta roba intrigante, per carità. E ben proposta. Per la quale, tuttavia, servirebbe una vita di scorta (a parte i gatti – che nikink possiede ma non sbandiera sdilinquito – e la grafica – che BobRock ancora frequenta da rematore). La seconda segnalazione va a ClipTip. Passati sono gli anni del mirar video musicali, ma il servizio reso da questo blog può certo interessare molti.

Due perle campeggiano in ambito geek. BobRock segnala FlashGuru, il cui nome svela tutto, così come svelato vi è ogni segreto di Macromedia Flash. Io rilancio con Salvatore Aranzulla, scoperto grazie a Paolo Attivissimo. Il ragazzo è molto in gamba, sono io che non posso avvalermi della sua abilità per manifesta preistoricità hw/sw: resistere x3 🙂 .

L’ultima segnalazione mi ha lasciato dubbioso per un po’. Va molto il genere XXX-blog, ci fanno anche dei libri. Mi sono quindi freddamente messo a cercare materiale in zona. Dico freddamente perché, a parte gli umori consumati in età pubere su Emmanuelle e Porci con le ali, per il solitario sollazzo preferisco avvalermi del video. La letteratura erotica, lo ammetto, m’annoia a morte (salvo occasionali uscite di narratori coi controcazzi). Come sia, Sociopatica m’è parso il blog migliore, tra i deportati in volume a me sconosciuti così come tra i siti lubrici che visitai in passato. La ragazza ha parecchia ironia, il che è necessario per superare la pura scrittura mucotico-ghiandolare. Ciò detto, come Sociopatica mette in guardia, da buon idiota non so se ci ritorno.

Bene, la faticaccia è quasi finita. Ora pubblico, spedisco una mail col permalink a tre dei tipi, altri due li contatto via form. Dimentico niente?. Ah, sì, devo mettere un link a Technorati. Mai fatta, ‘sta roba. Ci provo: speriamo che rimbalzi bene questo .

in rete c'è il nulla

M’è parso, per un attimo, d’essere giunto alla nube di Oort della rete, quando ho scoperto l’esistenza dell’ultima pagina di internet. Altro che le fantasiose pagine errore 404 raccolte da devoti adepti, di cui già abbiamo parlato: qui si tratta proprio del grande niente, il capolinea dell’infinito.

E pensare che ero convinto d’aver già assaggiato il nulla scoprendo il blog più vuoto del mondo, una vera chicca. Proprio chic trovare un bel nome per un blog e lasciarlo nudo per anni. Secondo una recente ricerca di Technorati, infatti, solo il 13% dei blog viene aggiornato almeno una volta alla settimana, ma quell’ottavo di blogger compulsivi, di cui m’onoro di far parte, ci dà dentro assai. Com’è ovvio, non basta postare a sparachiodi per guadagnare lettori ma – grazie a LiveFast (post del 3/8 21:45 che non riesco a linkare direttamente) – possiamo consigliare, ai molti che non si rassegnano alla dura necessità d’avere stile ed argomenti, l’uso di blog explosion. L’ennesima americanata che ci fa diventare tutti belli, saggi, positivi, ricchi e cazzuti.

Se poi, nonostante tutti i vostri sforzi, il silenzio che vi circonda vi butta giù, sappiate che autorevoli esperti hanno già pubblicato un agile opuscolo contro la depressione da blog, scaricabile in pdf.

bites of bat and butts of bits

Al lavoro son stati due giorni di merda, sono piallato. Ma ho piacere a raccontarvi un po’ di cose e mi perdonerete se non mi sbatto a trovarvi tutti i link. Inizio con un aneddoto, Il mio gatto, stamattina, stava torturando un piccolo pipistrello moribondo. Immaginatevi lo scanto d’entrare in tinello, veder dibattersi una creatura di taglia intermedia tra la falena ed il passerotto; cacciare un urlo, constatare il fatto, provare pietà… schifo… scazzo (quando lo uccide? dove lo trovero?). Poco dopo, infatti, stavo disincassando la lavastoviglie, facendo strame del corpicino. Bel risveglio, neh?

Ho anche scovato due notizie interessanti su cui mi riprometto di tornare. Un progetto per fare della reggia di Venaria il centro espositivo ed organizzativo degli ottocento siti patrimonio dell’umanità. La notizia che il ministro californiano della sanità Bill Lockyer vuole che s’apponga sulle patatine dei fast food una dicitura – un warning – simile a quella delle sigarette. All’italiota incredulo per come si possa sputare leggi avverse nel piatto dove si mangia (qui la metafora è particolarmente azzeccata) l’editoriale – di cui non ricordo l’autore – agitava Tocqueville per spiegare che nulla è intoccabile nella cultura yankee (“non v’è nulla d’assoluto nel valore teorico delle istituzioni politiche”). M’ha fatto tornare in mente questa notizia. Ci torneremo su.

Nel frattempo, buon inizio settimana. Io prendo ferie tra un giorno. Ci risentiamo prima che parta. Non starò via per molto.

lasciatemi nel ghetto ancora un po'

Ho letto che dal quartiere Pyramides d’Evry, città satellite di Parigi – uno di quei bei sogni urbanistici calati da un progetto pieno di -zioni (socializza-, aggrega-, buone inten-) – i francesi si sono dati a poco a poco, lasciando il posto agli immigrati maghrebini. Il quartiere s’è arabizzato naturaliter. Nessun fanatico in giro, solo ragazzini sfaccendati che parlano un francese gutturale, poligamie ufficiose nel segreto dei tinelli, niente vino né maiale nei supermercati e così via.

Illuminante la frase di un vecchio algerino, che fa notare come i francesi abbiano trascorso cent’anni nel suo paese, ma non risulta che si siano mai sognati d’integrarsi. Cosa c’è di strano, dunque, se qui ci comportiamo come a casa nostra? Ineccepibile. Dal ghetto dorato dei colonialisti al ghetto voluto delle esuberanze, tout se tient.

A me pare che non sia un gran viatico per il futuro, questa notizia, ma forse può rassicurare Marcel Poire su quant’è di là da venire il meticciato che paventa.

In rete ho trovato pochi link e tutti legati alla storia del supermercato, vecchia di quasi tre anni: un’analisi che stigmatizza l’urbanesimo delle “agorà di paccottiglia”, un articolo di Libération e la sua traduzione del giorno dopo, più o meno rimontata e spacciata come propria da una giornalista del Manifesto.

Un attestato di stima a chi scopre di chi è la canzone citata nel titolo di questo post. Vi do l’aiutino? Due, suvvia. Fu l’unico successo del virtuoso chitarrista di Lucio Battisti ed il titolo è contenuto nel verso citato.

paese virtuale inquieta paese reale

Che una cosa la si debba conoscere per parlarne, per il giornalista medio è un lusso. Lo dico per carità d’esperienza. Gli scagnozzi di cronaca e costume sono chiamati a gettarsi in ambiti per loro inediti. Al massimo, resta il tempo per rotolarsi nella farina. Che poi qualcuno ne faccia uno stile di vita ineffabile, è un altro discorso, che qui non faremo.

La Stampa ha deciso un affondo di costume sul fenomeno rappresentato dal blog di Beppe Grillo. Ci ha fatto un bel due terzi pagina domenica 21 agosto, con fotona tratta dall’header del nostro. Alessandra Pieracci se la cava fino a quando scrive: “(…) gli assidui frequentatori del suo sito che, secondo un sondaggio «vanta già un blog all’ottantottesimo posto nella classifica mondiale» (…)”. Il sito vanta un blog? Dunque son due cose diverse. Il blog è un arnese da gara?

Alla badante ambiziosa, che tenta la scalata alla comprensione del mondo, vacilla la ragione.

Direte: sei capzioso e favoleggi su inesistenti voglie di riscossa sociale. Può essere. Torniamo indietro di un giorno sullo stesso quotidiano, cronaca locale. Un incolpevole collega, Giacomo Bramardo, viene comandato ad una pleonastica verifica sul campo degli effetti del decreto Pisanu (vedi articoli 6 e 7).

Spedito per internet points, avviandosi semina inquietudine: “Fino a ieri, bastava entrare in uno di questi esercizi, pagare in anticipo il tempo stimato di collegamento e poi sedersi al computer. Inserito un codice di accesso fornito dal gestore e «lanciando» il browser di Explorer, si accedeva alla rete, in modo assolutamente anonimo. Si poteva compiere qualunque genere di reato, da quelli di tipo informatico alle truffe, scambiando informazioni di ogni tipo con l’altro capo del mondo senza la possibilità – una volta usciti dal phone center – di essere rintracciati”. Brivido.

Seguono coloriture, bravamente richiamate in sommarietto interno, di “musica etnica e donne africane nelle cabine”. Ben tre volte, pagato il prosseneta, impavido ed incognito il nostro si siede e constata di bel nuovo: “Volendo, potremmo compiere ogni sorta di reato: tentare l’intrusione nel sistema di sicurezza di una banca, provare codici di accesso, violare indirizzi di posta elettronica. Tanto, una volta usciti, nessuno sarebbe in grado di trovarci”. Paura.

Ora, a me piacerebbe davvero uno smontaggio semantico del capolavoro (perché «lanciando» tra virgolette? Explorer È non HA un browser, le truffe via rete non sono un reato informatico?). Vorrei anche soffermarmi su luoghi comuni (il mitico altro capo del mondo) e delitti sintattici (l’olocausto apostrofale). Ma non è il punto.

Varrebbe la pena elencare le patenti bestialità tecniche, pratiche e logistiche. Ma si farebbe notte, e ci fermiamo qui. Ciascun navigatore appena smagato può valutare da sé la profondità tecnica di simile analisi.

Ciò che mi preme mettere in luce è la monodimensionalità prospettica, il tentativo – inconscio o compiacente a dirla cauta – d’ammantare la rete d’equivocità criminogena. La sua essenza di libertà ridotta a pura sentina del peggio umano. Così la badante baderà bene.