flickrettoni

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Dieci giorni fa, cercando foto di spinelli per il fotomontaggio del babbo bastardo, ho avuto conferma di due cose. La prima è che Google immagini è il massimo se cerchi foto di Cirio o Di Canio, mentre per gente luoghi oggetti vita vissuta nulla ormai batte Flickr ed il suo sistema a cluster di tag (tradotto dal geekese: gruppi di etichette). La seconda è che l’idiozia umana è sconfinata e pronta ognora ad aprirci nuovi abbaini nella mente.

Come augurio di buona festa di Capodanno eccovi – direttamente da Flickr – tre fenomeni che hanno prodotto servizi fotografici con pupazzetti che si fanno le canne. Insomma, i Flickr Brothers 🙂 Ve li offro in ordine di preferenza. Per primi, i Lego Stoners, perché ho una passione per il Lego e non è da tutti (modestamente) rollare con la colla all’interno per eliminare la cartina in eccesso. Seguono, uniti da buone vibrazioni, Jesus & He-Man: una coppia davvero imprevedibile. Ultimo il buon vecchio Thor che, solo soletto, dimostra che anche i diversamente abili hanno diritto a del buontempo.

see you –late– tomorrow

google osservato

Google, obiettivamente, un po’ d’inquietudine la genera: non incarneranno mai il male eppure, quando ci disincarneranno gli HD per portarsi a Miramonti tutti i nostri dati, sarà bene tenere un occhio su come li gestiranno. C’è qualche tossico della cospirazione che è già montato su una torre di guardia da lunga pezza. Si chiama Daniel Brandt e questo è il suo osservatorio.

Tra una predica apodittica ed una farneticazione complottarda, le attività vigilatorie del tipo sono molteplici. Tra esse, spicca l’occhio che tiene su Wikipedia (ed il ruolo avuto per scovare e costringere alle scuse il malandrino nell’affaraccio Seigenthaler). Wikipedia, ovviamente, di rimando parla di lui.

Ma il gioco d’incroci e rimbalzi di link non sarebbe completo se non citassimo questa scarna pagina che controlla il controllore. Mentre la grande G ci bomba di servizi sempre più addicting, possiamo dormire sonni tranquilli pensando a tutti questi sorveglianti che si sorvegliano tra di loro.

google dislessico, snob, biturbo, custom, diy, assetato, ubriaco, slang, assumimi!

NOTA :: La rubrica Google non è numerata (infatti è, diciamo, aggettivata) e la sua cadenza è casuale. Più o meno casualmente (poiché, da un certo punto in avanti, ci ho fatto), arriva anch’essa al decimo appuntamento in concomitanza con le altre due rubriche fisse (In rete c’è tutto e Ship of fools). Ne consegue che anche questa rubrica andrà incontro ad una prossima puntata-rendiconto e che ci sarannno annunci e novità. Il giorno previsto cade proprio in mezzo agli annunci sulle altre due rubriche. Cioè il…?

trasporti ad alta Voce

Ognuno ha le sue fisse e, come sanno i lettori caprini, io ho quella di segnalare i migliori articoli de La Voce, un sito sempre più autorevole per come sa presentare studi oggettivi e dar spazio al contraddittorio. Altra mia fissazione recente è quella di seguire gli sviluppi del dibattito pro/contro Tav. La Voce, nei giorni scorsi, ha pubblicato una serie d’articoli sull’argomento, approfittando della tregua semestrale ottenuta sul campo di battaglia.

V’invito quindi a leggere questo studio di Romeo Danielis ed Edoardo Marcucci sui criteri di valutazione per il cambio di modalità gomma-ferrovia nei trasporti. Criteri che, com’è ovvio, non si limitano a stabilire primati di velocità pura, coinvolgendo diversi aspetti ed attori e richiedendo quindi, per far rendere la linea Tav, scelte politiche precise. La Tav, insomma, se ben inserita in un piano di sviluppo del trasporto, potrebbe essere redditizia, come spiegano qui Giuseppe Pennisi e Massimo Centra.

Le grandi opere di mobilità in cantiere sono parecchie, ed è infatti dubbio se la Tav debba venire prima d’altre, essendo più costosa e complessa. Questo dubbio viene sviluppato da un pannello di sovversivi (tra cui Luciano Gallino e Bruno Manghi) in quest’appello. Siccome i soldi non basteranno per tutte le opere necessarie, c’è da chiedersi se sia poi tanto peregrina l’idea di potenziare la linea esistente. Si direbbe di no, a giudicare da quanto propone Marco Ponti, economista dei trasporti.

bin Kong

Ho appena finito di rivedere in tv il King Kong del ’76, dato in pastura per invitarci ad affollare i cinema per la nuova versione di Peter Jackson. Avendolo visto all’epoca in sala, ragazzino, non ricordavo che razza di serie H* mi sarebbbe toccato.

Credo che mia moglie volesse randellarmi, per i continui – e diseducativi per mio figlio – commenti liceali sui reiterati gemiti della florida Jessica Lange (in splendida forma non siliconica) o sulle impalpabili metafe sessuali (sfila il cavicchione, rimetti il cavicchione…). Ho raggiunto l’apoteosi con la scena del bagno nella cascata, sguaiandomi ad immaginare cosa facesse tanto gemere la bionda, mentre il ciccione col gilet di pelliccia l’asciugava con la fiatella che un simile elemento sarvatico deve ritrovarsi.

Eppoi l’insopportabile spocchia protoecologista di un Jeff Bridges incongruamente virtuoso (e non che non te lo do se vuoi la pelliccia). Che nostalgia dello scimmione morto di Ferreri

Vabbè, poi è arrivata la scena finale sulle Torri Gemelle, ed una certa naturale inquietudine ha cominciato a far capolino nella mia cervice guasta. Mi sono ricordato che la sostituzione dell’Empire State Building – protagonista nel film originale del ’33 (ed ovviamente nel nuovo, riportato all’epoca) – con il complesso del WTC fu in fondo la vera molla del remake. Le Torri erano fresche di costruzione. Suppongo che, un giorno, nell’ufficio del produttore Dino De Laurentiis si sia svolta una riunione per proporre questa candidatura edilizia come un atout definitivo per il film.

Durante la scena uno degli elicotteri, che maldestramente sostituiscono i biplani restaurati nel recente tremake, si schianta sul fianco d’una torre. Ho immaginato un altro probabile dialogo. Si svolge in una grotta ma i protagonisti non sono quelli celebrati in questi giorni. Diciamo che si chiamano al e bin. Per ammazzare il tempo, guardano per l’ennesima volta una videocassetta.

Deve essere andata più o meno così:

binSarebbe un bel casino, se un elicottero finisse davvero in uno di quei grattacieli.

alMa figurati, gli farebbe appena un buchetto.

binTi sbagli, quella non è muratura: è ferro. Io me ne intendo.

alD’accordo, ma un elicottero è troppo piccolo per far danni seri.

binMmmh, forse hai ragione. Un aereo di linea però le farebbe venir giù.

alNaah, non è possibile.

binIo invece ti dico di sì. Collasserebbero in un’ora. Scommettiamo?

alCi sto.

* La cinematografia di serie H, nella mia personale tassonomia, indica i film costosi e pretenziosi che non riescono però ad elevarsi nei paraggi del capolavoro commerciale né a sprofondare nella serie B, tanto amata dagli esangui e dai perversi (due aggettivi che descrivono il 90% dei cinefili, me incluso).

ship of fools # 10

Possente è ormai la flotta di vascelli carichi di scellerati: questo che presentiamo oggi imbarca gente che ha uno strano rapporto con la tecnologia, in particolare col falso idolo conosciuto come hi-tech, vero vitello dai piedi di titanio.

L’alta tecnologia flirta alla groundFricat) con la spettacolarità fine a se stessa di matrice aerospaziale metallico-futureggiante. Un esempio assai assiro sono le strutture “vive” di Chuck Hoberman, roba costosissima quanto inutile, senz’altro affascinante; adatta ad esempio per quelle kermesse dello stupore che sono le Olimpiadi: ecco un esempio dai Giochi invernali di Salt Lake City, 2002. Il filmato va visto senz’altro.

Pari pretese estetiche, per una complessità ben più statica e fatua, hanno i curiosi taglierini per pizza hi-tech di Frankie Flood, adatti alle riunioni informali sulla Enterprise. E poi cazzi degli spaziorumeni che li devono lavare.

La componente aerea dell’alta tecnologia scatena l’homo ludens, che si diverte ad inseguire record di miniaturizzazione, come nel caso dell’inventore del micro-elicottero. La tecnologia è infatti un grande gioco, qualunque materiale si usi, fosse anche un’altro prodotto tecnologico in libera uscita come il Lego. Con cui, è noto, si può far tutto, si tratti di una fotocamera o di una fresa a controllo numerico.

Veniamo a noi, uomini da strada cui la tecnologia fa da sirena ai bassi istinti, pronti ad acquistare per apparire. Tra gare a chi ce l’ha più piccolo (il cellulare) o più qùl (il gadget inutile), l’oggetto totem del nostro oggi odierno è certo l’iPod. Tanto totemico da essere stato umanizzato, tanto declinato in varianti improbabili da essere stato sovente sbertucciato, il lettore Apple già ispira dimensioni inusitate, come l’arredamento.

ship of fools # 1, # 2, # 3, # 4, # 5, # 6, # 7, # 8, # 9

NOTA :: Anche Ship of fools, seconda rubrica numerata di questo blog, giunge all’ultimo appuntamento, nella misteriosa cadenza che, nonostante il vellico, nessun lettore indovinare vuole. E sia, la rivelazione della regola ca-ballistica è promessa per la prossima puntata-riepilogo, che verrà pubblicata il…?