diletta e di governo

Ho scoperto di recente un blog collettivo – BlogGoverno – nato ad inizio anno ma attivo solo da sei mesi. Essendo a mia volta motore del blog collettivo Ita®iani, tutti gli esperimenti analoghi m’interessano. Questi giovini di belle speranze si son presi una briga da far tremare i polsi, a seguito di questa intuizione del loro… premier: un obbiettivo serio, di partecipazione diretta alla cosa pubblica, con tanto di stringato manifesto. Se posso permettermi una recensione critica, vorrei dire che mi suscita qualche perplessità il connubio tra serietà pseudo istituzionale (divisione delle cariche, ecc.) ed effettiva possibilità d’incidere sul dibattito pubblico in quello che, in fondo, resta un gioco di ruolo in forma di blog.

Cerco di precisare il mio pensiero. Se ad aprire un blog è uno – individuo o gruppo – specialista della qualunque, ecco che abbiamo una tribuna autorevole, con in più il vantaggio della comunicazione bidirezionale, non paludata e tendenzialmente sincera. Se a farlo è uno o più blogger – cittadini volonterosi ma con una vita da sfangare – che al pubblico dibattito può / possono apportare solo belle speranze e desiderio di crescere insieme ai lettori (sempre e comunque un dialogo tra minoranze); se costoro poi mettono in piedi l’esperimento come calco istituzionale, mi prende una forma di nostalgia preventiva per un’idea in sè ottima, mancante però delle premesse per essere autenticamente incisiva. Con tutti i migliori auspici, il rischio è che BlogGoverno, così com’è abbozzato, resti wishful thinking ai confini tra goliardata e sfogatoio: il classico recinto del blog tuttologico (tipo il mio) che crea microcomunità di persone che si dan ragione a priori.

Mi spiego ancora meglio. È assolutamente auspicabile che un gruppo di semplici cittadini decida di partecipare alla vita collettiva, facendo politica in rete. A me sembra, però, che sia necessario farlo ricalcando modalità giornalistiche – la denuncia, l’inchiesta, lo scavo nel dettaglio, il rilancio di una segnalazione – coniugandole all’immediatezza ed anche al caos creativo dello strumento blog, come fanno ad esempio, benissimo, su OneMoreBlog. Pretendere, a priori, d’avere qualcosa di sensato da dire su ogni atto significativo del governo mi pare, per dei volontari la cui sola ambizione è partecipare della vita pubblica, un malriuscito connubio d’ingenuità e presunzione, che rischia di bruciarli per logoramento, di renderli stucchevoli sulla lunga distanza.

Eppure, la serietà dell’impianto è foriera di passibili sviluppi: d’una tribuna così concepita ci sarebbe davvero bisogno. Pensate ad un ipotetico futuro in cui il vero governo ed il suo corrispettivo ombra dovessero, per obbligo istituzionale, curare due simili blog collettivi e paralleli per diffondere e discutere pubblicamente le opzioni governative e dell’opposizione. I nostri rappresentanti metterebbero in gioco sul serio responsabilità e carriera. Così com’è ora, BlogGoverno serve ad annusarsi e riconoscersi tra simili: la classica predica ai convertiti. Comunque, tanto di cappello ai partecipanti a quest’esperimento. La frequenza di postaggio è buona, il che è segno di salute. So bene, per veder stentare il nostro dalla nascita, quanto sia difficile far marciare un blog collettivo, specialmente su un’idea d’impegno civile. Di solito, ai blogger riesce meglio aggregarsi sulla fuffa.

Siccome sono solito manifestare il mio affetto in senso critico, mi permetto anche di segnalare alcuni difetti di contenuto che ho trovato esaminando il paratesto, inserito in una grafica che trovo piacevole. Le categorie sono troppo tecniche e generiche: quanto dura l’attualità?, che cosa non è “news” od “approfondimento”? Inoltre, un blogroll con cinque link è così povera cosa che tanto vale giubilarla, se non si ha intenzione d’ampliarlo fino a renderlo un vero serbatoio di risorse in rete. Un ultimo appunto, per il concetto di “beta” che ricorre in testata e nelle pagine ministeriali: un blog è sempre beta, non mi pare il caso di scriverlo qui e là. Auguri sinceri, comunque, ragazzi. Vi seguirò per quanto me lo concede il tempo della mia incasinatissima vita, poiché la cosa pubblica è, appunto, anche cosa mia.

P.S.
Mercoledì sera, mentre stavo scrivendo questo articolo, m’arriva via mail da Radio Radicale la segnalazione della loro ultima novità partecipativa. Ecco un lampante esempio di nuovo medium collettivo, caotico e vitale, che si può esemplarmente contrapporre al metodo ingessato di BlogGoverno: FaiNotizia. Per dirne un altro.

suck the police

Il fatto nudo e crudo. In una mattina qualunque, in una metropoli dell’Occidente Avariato che conta circa un milione d’abitanti, il telefono della Polizia Municipale ha suonato a vuoto per mezz’ora.

La cronaca. Oggi, in albergo, un cliente è venuto a farsi aiutare per aver dimenticato il cellulare sul taxi che pochi minuti prima l’aveva scaricato da noi. Verificato dalla ricevuta che l’autista era un cosiddetto padroncino, non affiliato alle compagnie di radio-taxi facilmente contattabili, non mi restava che ricorrere ai Vigili Urbani per individuarlo dal numero di licenza. Ho chiamato il numero dei Vigili, ho digitato l’opzione 3 per avere un operatore in linea; dopo pochi secondi mi veniva riproposta la scelta delle opzioni. Al quarto o quinto tentativo ho digitato l’1 – richiesta d’emergenza: il numero suonava a vuoto finché la linea cadeva. Ho ripetuto l’esperimento un sei-sette volte. Nel mentre, con l’orecchio libero, ho chiamato i carabinieri per fare presente l’anomalia: mi hanno ripassato il numero a stretto giro di centralino. Stesso risultato.

Allora ho chiamato in Comune, sempre riprovando il numero per le emergenze dall’orecchio sinstro, chiedendomi se la radio stesse trasmettendo musica da ballo e facendo presente alla centralinista del Municipio, in modo seriamente scherzoso, la mia ironica ipotesi che fosse in corso un colpo di Stato. L’operatrice ha riso complice, ma ha dovuto a sua volta arrendersi all’evidenza: la Polizia Municipale di Torino risultava irraggiungibile. Mi ha dato un numero degli uffici, l’ho provato: indovinate un po’? Esatto: nessuna risposta. Sconsolato, mentre una collega continuava a chiamare il cellulare del cliente che suonava a vuoto anch’esso, ho dovuto arrendermi, nella speranza che l’ospite, di nazionalità colombiana, se ne facesse una ragione, avendo probabilmente vissuto di peggio al Paese suo.

Ora voi penserete che, una volta gettate le armi, da buon blogger autoassolutorio abbia concluso che tutta la faccenda sarebbe semplicemente finita in questo post. Errore: ho ancora avuto un soprassalto sabaudo, e da buon torinese ho chiamato La Stampa, dove rispondono sempre. “Mi passa la cronaca di Torino?”. Pronti. “Buongiorno, sono tal del tali, mi succede questo e quest’altro, siccome mi pare d’una gravità inaudita, ho pensato fosse mio dovere segnalarvelo”. “Ha fatto molto bene”, m’ha risposto il segugio già attizzato. Non vedo l’ora che sia domani, per scoprire se, in prima pagina di cronaca locale, racconteranno di come gli alieni abbiano iniziato l’invasione del pianeta a partire dal corpo dei civich di Torino. Altro che i blog… Vi terrò informati.

poi dice che uno si butta a sinistra

Un tempo non così lontano il prete dava le spalle ai fedeli ed officiava in latino; un Concilio riformò il tutto e fu la modernità. Esistono ancora oggi dei controriformisti – vedi i lefebvriani – che preferiscono la moda antica. Trasportiamo il tutto in ambito di trasporti.

Esiste una leggenda (intrinsecamente) metropolitana che vorrebbe giustificare la svolta veicolare a sinistra mediante aggiramento del centro incrocio con una presunta norma superata dal nuovo codice in vigore dal 1992. Sarebbe un po’ come i nonni che, per inveterata abitudine, dicono Sisal per Totocalcio o Stipel per Sip (ovvero per Telecom – quest’ultimo nome mi sa che cambierà presto di nuovo).

Così non è, almeno in tempi moderni: mi sono documentato. Il D.P.R. 15 giugno 1959 numero 393, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 23 giugno 1959, così recita: “Art. 104 (mano da tenere): i conducenti (…) per voltare a sinistra debbono avvicinarsi il più possibile all’asse della carreggiata ed effettuare la svolta in prossimità del centro dell’incrocio ed a sinistra di questo, sempreché questo sia possibile senza imboccare l’altra strada contromano e salvo diversa segnalazione, (…)”.

Il “Nuovo codice della strada” – decreto legislativo 30 aprile 1992 numero 285 e successive modificazioni – all’articolo 154, che vi propongo in versione Wiki ed in versione Aci, ribadisce: “3. I conducenti devono, altresì: (…) b) per voltare a sinistra, (…) accostarsi il più possibile all’asse della carreggiata e, qualora si tratti di intersezione, eseguire la svolta in prossimità del centro della intersezione e a sinistra di questo, salvo diversa segnalazione, (…)”.

[immagine hackerata, quindi cancellata]

Ma, allora, perché è sufficiente trascorrere mezz’ora in un qualunque incrocio italiano – anche se dotato d’inequivocabili frecce come questo presso casa mia – per produrre un simile documento fotografico? Quale trascorsa virtù inseguono, questi controriformisti? Se qualcuno ha una risposta sensata, per carità me la proponga.

tanto va la capra al lauro

Rubricaprina poesia: la rete vista dai sommi
Quinta puntata

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Brucando brucando, la capra ha scovato i migliori versi dedicati alla Rete.

Ve li proponiamo coi nick che gli autori hanno scelto per questi tempi cillàut aìtek: a voi scoprire di chi si tratta.
È consentito chiedere l’aiutino nei commenti, ma uno lo diamo subito: i Master of Ceremony caprini sono in prevalenza italiani.

Settembre, andiamo,
è tempo di
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Gabriel Vate MC

Poi che non ha ritorno
il riso
mattutin
La bellezza del giorno
è tutta nel
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guidogozzano MC