da una celebrità all'altra

Il sobrio titolo è quello d’un lancio stampa che mi arriva da Hiroshima Mon Amour s’un avvicendamento in una delle serate del festival Traffic, da domani a Torino. Trascrivo riassumendo.

Incassato il forfait annunciato in extremis da Martin Gore dei Depeche Mode, (…) la direzione artistica di Traffic rilancia affidando il ruolo di dj ospite nella serata inaugurale del festival (…) ad Asia Argento. Grande appassionata di musica (…) una della massime icone contemporanee del cinema italiano nel mondo (…) si cimenta così nell’insolito ruolo di disc jockey. (…). «Da tanti anni mi diverto a fare la deejay nella mia cameretta, ma non avevo mai avuto il coraggio di esibirmi in discoteca», ha dichiarato recentemente (…).

Ma tu pensa: schiere di coglioni che da piccoli (cioé fino ai quaranta) suonano una chitarra d’aria nella loro cameretta, per poi finire come precari di call-center, quando bastava diventare icone contemporanee per venire chiamati a mettere i dischi al posto d’un musicista vero. Ragazzi, qui non è questione d’avere il padre ammanicato o di non saper né leggere né scrivere, è che dovevate diventare icone, mica cercarvi un lavoro serio.

la lettera granata

Con tante scuse ad Hawthorne per l’abuso nel titolo, danza nel mio animo una grande A. Lo so, sono uno snobbone e, come tale, disprezzo molte cose del calcio. Però part-time: infatti mi sciroppo in tv tutti gli europei ed i mondiali, incluse Bulgaria-Kuwait et similia. Addirittura poi ieri sera ero qui, un’era geologica dopo l’ultima volta (mi pare Torino-Bruges di coppa Uefa nel ’78 o ’79, ma la memoria è labile e la ricerca in rete non mi conforta). Del resto, anche due anni fa ero in strada, perché il Toro è uno stato d’animo che va al di là dello sport e del business ed in certe occasioni non si può non esserne il popolo. So che sto facendo retorica. Inutile spiegare oltre, chi sa capisce e gli altri…

Volevo solo scrivere queste righe e, da popolano per un giorno, auspicare sei punti in meno per i gobbi l’anno che verrà.

perle ai porci

La storia è triste, l’ho letta su Apogeo e la potete approfondire con questi link. Un’iniziativa encomiabile di partecipazione proposta dal LA Times – il wikitorial, ovvero l’editoriale editabile dal pubblico – mandata in vacca in pochi giorni. La rete è cosa bella e partecipata finché si resta tra gli happy few; appena s’allarga l’utenza ci si trova a mollo tra gli stronzi. Non molto dissimile dalla vita reale. Poi non si dovrebbe diventare snob. Vabbè…

Già che ci siamo, anche se voi non siete poi così porci e le mie non sono quelle gran perle, ci pare onesto avvisarvi che la frequenza del postaggio qui s’è fatta estiva. Diciamo massimo tre post la settimana. Ci siamo accorti che le già poche visite sono ulteriormente scese. Benché neofiti, crediamo che questo sia normale d’estate. Si esce (chi può: a dire il vero io sono in piena alta stagione al lavoro, ho la famiglia al mare ed una serie d’altri impedimenti che, come diceva quel tal modello richiesto di spiegare perché non bevesse il tale amaro, “sono fatti miei”). E, se non si esce, il monitor si riempe di moschini e non invoglia alla navigazione. Comunque, garantiamo un presidio fino a fine luglio. Ad agosto, valuteremo: se gli accessi svaniscono, faremo altrettanto.

estremismi produttivi

Vagando alla ricerca d’intelligenza sul pianeta, per buona sorte se ne trova ancora. Spesso in ambiti estremi, dove menti febbrili in lucido controllo di sè creano provocazione. Oggi ho spolpato uno speciale che il Guardian ha dedicato mesi fa a Robert Crumb e ho guardato con attenzione le foto di Elisabeth Ohlson, segnalate giorni addietro da un amico. Due artisti: maschio / femmina; yankee / nordica; vecchio / giovane… accumunati dall’essere artisti visivi e da un uso produttivo della provocazione.

Così alternativo da lasciare al palo anche l’ambiente underground della West Coast sessantottina “peace & love” che l’aveva eletto guru suo malgrado, Crumb è sempre stato sopra le righe del buon gusto e del politicamente corretto, come “spiega” in quest’immagine creata ad hoc per lo speciale (recuperata tra i molti link di fondo intervista). Alle accuse di machismo e razzismo, così replica (traduzione mia, per quel che vale): “Non direi d’essere un razzista estremo o provare orgoglio o divertirmi all’idea del razzismo, ma siamo tutti cresciuti in questa cultura e tutti abbiamo queste tensioni e penso solo che sia qualcosa con cui bisogna fare i conti. Io cerco di farli in modo umoristico e di stuzzicare il punto più sensibile, dove la gente sente più nervosismo e disagio”. Onesto come solo un artista può essere.

Dal machismo al frocismo, se mi passate la battuta, ecco il lavoro più conosciuto della Ohlson, quell’Ecce Homo che le è costato ostracismo cattolico e benpensante, attacchi personali, una vita quasi blindata. Da un articolo su La Stampa, in occasione dell’esposizione romana durante il gay pride giubilare nel 2000, la fotografa svedese spiega: “Ho riscritto la vita di Gesù in modo che anche i gay possano identificarvisi. In Africa trasformano il Cristo in un nero” ed ancora “come Gesù non aveva un tetto, anche gli omosessuali sono relegati ai margini”. Evangelica come solo un artista sa essere.

Mi chiedo perché solo andando a sfruculiare negl’interstizi si possa creare pensiero costruttivo. Una risposta la trovo in un ambito all’apparenza distante dall’arte. Potenza del paradosso.

Da qualche tempo sono iscritto alla newsletter del Politecnico di Torino, nel patetico tentativo di superare i limiti ormai incrostati che mi fecero essere un perfetto incapace nelle materie scientifiche all’omonimo liceo. Non ci capisco molto ma spesso trovo stimoli intellettuali inediti e qualche storia che vi rilancio qui. Leggendo un’intervista di Mauro Comoglio a Renato Betti, docente di geometria al Politecnico di Milano ed autore d’un libro sul matematico russo Lobacevskij e sull’invenzione delle geometrie non euclidee, inciampo su un’analisi folgorante del presente che spiega benissimo perché la normalità odierna è così sterile. Prima di riportare l’estratto, mi tocca la chiosa. Facciamo così: siccome si parla di scienza, postuliamo che anche il matematico sia un artista. In quest’intervento, dunque, Betti è lucido. Lucido come solo un artista riesce ad essere.

“Certamente è facile dire che la scuola dovrebbe darsi lo scopo di attrezzare gli studenti ad affrontare le difficoltà con lo spirito giusto. E forse è ingeneroso nei confronti dei docenti, che in molti casi si impegnano con grande passione. Di fatto, la scuola fa parte del mondo, una parte importante per chi studia e, nel mondo attuale, più che di atteggiamenti antiscientisti forse bisognerebbe parlare di atteggiamenti anticulturali. Non per buttarla tutta sulle colpe della società e così lavarsi la coscienza, ma mi pare che sia difficile capire come vincere le resistenze di un ambiente che quotidianamente ti offre modelli in cui è solo il risultato che conta e non il percorso che ha condotto a quel risultato, e l’applicazione immediata è l’unica guida e indicatore da tenere sott’occhio.

A me sembra che in questo momento stiano prevalendo alcune categorie d’uso a scapito del rapporto dialettico (come si diceva una volta) con corrispondenti categorie interpretative: viviamo nel mondo delle quantità, del numerico, del digitale e del discreto. Prevale l’analisi sopra la sintesi, la forma rispetto al contenuto. La conoscenza si confonde con l’accesso ai dati: questa è la «cultura da data-base» di cui ho parlato.

L’autentica disgrazia è la visione della scuola come azienda, che implica la conoscenza come profitto, la formazione come un percorso a tappe, in cui basta passare da certe postazioni stabilite per ritirare il premio, il lavoro personale inteso come un’attività meccanica e irriflessa, fatta senza emotività, come se questo richiedesse meno fatica”
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apparizioni

Ho guardato il muro abbastanza a lungo e la mia costanza è stata premiata. M’è apparso un giovane eroe barbuto, nell’atto di stendere il collo in avanti e guardar timidamente in tralice; le spalle colossali coperte d’un mantello in presumibile pelliccia. Il viso, più che l’aspetto generale, potrebbero farlo classificare nella categoria dei gesù, ipotesi che viene rafforzata dalla visione appena percepibile d’un satana tra i lembi della pelliccia ed il ventre dell’eroe.

Sto pensando di fotografarlo, dar contrasto al contorno in Photoshop, ed inviarlo in Vaticano: ci sarà ben un account ad hoc. Che so, [email protected] per dire. Forse dovrei segnalare il fatto che sul muro ho applicato le Antiche Terre Fiorentine. Forse, meglio, potrei chiamare questi delle Terre e proporgli un pay-off devastante. Che so, “vivi la tua visione”… mmh… non mi viene… non so, magari mi alzo. Che caldo.